Cosa intendi dire? Il netto divario tra intenzioni e aspettative

Quando comunichiamo ci dimentichiamo spesso dell’esistenza di un netto divario tra quello che abbiamo intenzione di dire e quello che il nostro interlocutore si aspetta di ricevere.

All’interno di questo divario esiste il messaggio, ciò che effettivamente diciamo e ciò che il nostro interlocutore effettivamente riceve.

Queste sono solo alcune delle variabili che determinano la dispersione della comunicazione, una delle principali cause di incomprensioni che, attraverso una comunicazione maggiormente efficace, si sarebbero potute evitare.

D’altronde comunicando mettiamo in gioco la nostra identità e spesso è il desiderio di sentirla confermata o il timore che questa possa essere minacciata che influenza profondamente la nostra capacità di espressione, ascolto e comprensione.

Quando risultiamo estremamente prolissi a causa dell’entusiasmo o frenati dal timore del giudizio, ricordare che il nostro interlocutore probabilmente farà proprio il 10% di ciò che intendiamo dire ci dà lo stimolo a migliorarci e a ottimizzare ciò che le persone ricorderanno delle nostre belle chiacchierate.

Uno dei modi migliori per riuscirci è chiedersi “se fossi io ad ascoltare quello che sto dicendo, capirei quello che voglio si capisca?”

Inoltre, creare maggiore empatia con il nostro interlocutore è sicuramente un elemento basilare, così come fare delle domande per avere la conferma che i passaggi più densi siano stati compresi e assimilati.

E ancora, mantenere un contatto visivo costante con coloro con cui stiamo dialogando amplifica il canale comunicativo di ascolto da parte dell’emittente che può percepire, anche dalle espressioni facciali, i momenti di difficoltà di acquisizione delle informazioni di chi gli sta di fronte.

Ritornando a quanto espresso in precedenza, le nostre intenzioni di voler trasmettere un concetto, un’idea o addirittura un emozione non devono essere prevaricanti o arroganti, solo perché siamo convinti delle nostre ragioni.

Né tanto meno devono essere sussurrate perché teniamo di offendere il nostro interlocutore.

Piuttosto dobbiamo scoprire quanto prima, immaginandole o indagandole, quali possano essere le aspettative di colei o colui che ci ascolta.

Quando ci prepariamo a dover dare una brutta notizia, a difendere le nostre posizioni nell’ambito di una trattativa, quando siamo incalzati da qualcuno di molto loquace e magari anche aggressivo, talvolta ci capita di non essere in grado di ribattere colpo su colpo.

E quel 100 di cose da dire è come se fosse un colpo che ci rimane in canna.

Vi è una espressione letteraria che individua perfettamente questo atteggiamento, in lingua yiddish si definisce trepverter che letteralmente significa “parole delle scale”.

Anche in francese esiste un’espressione simile: esprit de l’escalier.

Perché la battuta, nella sua espressione più corretta, ci viene in mente quando ormai siamo sulle scale. E la esprimiamo masticandola tra i denti solo a nostro beneficio.

Quindi, per evitare di essere incompresi e per far sì che la nostra rapidità comunicativa mantenga la sua efficacia e assertività, dobbiamo partire, come spesso accade, dalla consapevolezza di ciò che ci possiamo permettere.

Individuare i nostri eventuali limiti ed impegnarci a esprimere la versione migliore di noi.

 

Stefano Pigolotti