Leadership: la fiducia prima di tutto

Tra le soft skills oggi più trattate sia per la sua innegabile importanza, che per il fascino e l’interesse che genera su chi istintivamente la esprime o la desidera, vi è senza dubbio la leadership.

Molte sono le teorie, i punti di vista e le variabili che identificano una buona leadership, ma quando mi imbatto in letture ed esperienze come l’articolo presente sulla rivista Harvard Business Review Italia di Giugno 2020, vengo stimolato ad approfondire i vari punti di vista sui quali mi è già capitato di esprimere alcune idee.

Nell’articolo sopra citato è evidenziato chiaramente come la leadership, per poter essere riconosciuta, debba essere condivisa dal leader con i propri collaboratori. In questo modo gli stimoli del leader verranno posti in essere in modo pragmatico dal team che restituirà un feedback sulla messa in pratica e sugli effetti delle sue idee.

Il leader, tenendo conto di questo feedback esperienziale, potrà rafforzare le proprie intuizioni o arrivare a modificarle per renderle più aderenti al mercato o alle attitudini sviluppate dai propri collaboratori.

Se si riuscisse a innescare questa situazione, ogni membro dell’organizzazione si sentirebbe libero di esprimere a pieno le proprie capacità e la propria energia, basandosi su una condizione necessaria: la presenza di fiducia.


Se immaginassimo la fiducia come un triangolo, i suoi tre vertici esprimerebbero le leve fondamentali per sostenerla:

 

Autenticità: per poter essere visto come una guida dai propri collaboratori il leader deve esprimere la propria vera essenza, ciò che è realmente senza maschere e sovrastrutture.

Come si può pretendere che i collaboratori si affidino al loro leader se percepiscono il suo manifestarsi sotto mentite spoglie?

Per poter rendere i collaboratori più performanti accelerando la loro crescita, potenziando i punti di forza e compensando le loro eventuali lacune, è necessario che questi si sentano nella condizione di manifestarsi apertamente, in modo trasparente. Per far sì che questo accada, è proprio il leader che deve risultare per primo trasparente agli occhi dell’intero team: è attraverso il rendersi reciprocamente vulnerabili che si possono ottenere i migliori risultati.

 

Logica: il rigore delle idee del leader e la capacità di metterle in pratica sono i due elementi che muovono la leva della logica nella generazione di fiducia.

Come possiamo compensare l’eventuale carenza di questo elemento base della fiducia?

Innanzitutto si deve basare la propria capacità di scelta non solo sull’intuizione, ma anche sui dati.

Metaforicamente è come un giocatore di pallacanestro che, per quanto bravo, ha una bassa media realizzativa a causa della sua esasperata istintività, alimentata da un’adrenalina incontrollata.

Certo, tirerà spesso, ma tanti potrebbero sarebbero gli errori poiché la maggior parte dei tiri risulterebbero “forzati”. Il suo allenamento consisterà nell’applicare maggior logica nella scelta di tiro, diminuendo la voracità e la ferocia adrenalinica e concentrandosi maggiormente nel creare le condizioni migliori per un tiro più ponderato.

I compagni di squadra riconosceranno così il loro leader, colui che è capace di non sprecare la loro fatica e di raggiungere nel miglior modo il risultato.

 

Empatia: la teoria del leader schiacciasassi che si pone davanti a tutti creando nuove vie per il successo è sempre meno sostenibile. Con il tempo ci siamo accorti come coloro che esprimono tale leadership tendano a schiacciare chiunque. Anche i propri collaboratori.

Com’è dunque possibile che si generi fiducia in un bulldozer che, oltre a spianare di fronte a sé, ha la possibilità di fare retromarcia?

Intendo dire che, quanta più aggressività viene espressa per incedere, badando solo al raggiungimento del risultato senza preoccuparsi delle conseguenze, quanta minore è l’empatia espressa.

Il sillogismo si conclude così: ma se il mio responsabile non si fa scrupoli pur di raggiungere il risultato, come posso fidarmi di lui?

Oggi più che mai il buon leader è colui che ottimizza le performance del proprio staff facendo evolvere le competenze e le attitudini di ogni singolo membro, dimostrando interesse verso la crescita di ognuno e non solo verso i propri risultati. Non serve creare adepti o yes men, ma collaboratori proattivi.

 

Quindi, se sapremo essere

  • Autentici: esprimendo con coraggio la nostra vera essenza e rendendoci avvicinabili e vulnerabili;
  • Logici: capaci di esprimere idee realizzabili e procedure sostenibili, così come giudizi corretti;
  • Empatici: entrando in connessione diretta con chi ha deciso di seguirci, facendolo crescere e permettendogli di sviluppare il potenziale tramite stimoli onesti;


potremo definirci “leader di crescita”, cioè persone che raggiungono risultati attraverso visione, sensibilità e trasparenza e l’evoluzione del proprio staff.

Gestire le leve di una leadership basata sulla creazione di fiducia, significa essere figure di riferimento contemporanee che hanno fatto tesoro dei modelli precedenti e che possono individuare nuove traiettorie, a volte inesplorate, creando nuove vie basate su relazioni forti e condivise.

La sfida è aperta!

 

Stefano Pigolotti