Sono ormai troppi giorni, purtroppo, che trattiamo un argomento triste, affaticante, limitante e pericoloso. La crisi umanitaria ed economica a causa del Covid-19. Sentiamo e leggiamo di paralisi, panico, tristezza, frustrazione, morte, dolore.
E’ inevitabile. Mai, proprio mai, il Mondo moderno ha dovuto ad ogni latitudine e longitudine, in modo diretto o di riflesso, vivere un dramma globale, scatenato da un nemico invisibile e subdolo.
Uno scenario apocalittico per l’umanità intera!
Uno scenario sconosciuto per uno dei pilastri della società moderna: l’economia.
Badate bene, non siamo di fronte ad una crisi finanziaria come, ad esempio, quella del 2008, ma in questo caso ciò che è maggiormente aggredita è l’economia reale.
Le limitazioni, le chiusure, i crolli dei consumi e via discorrendo, hanno bloccato o rallentato tantissimi settori. Quelli che non sono coinvolti nella paralisi (per esempio l’economia sanitaria) hanno subito comunque un contraccolpo a causa del super congestionamento di ordini e gestioni straordinarie.
Quindi è l’economia reale che, in gran difficoltà, intacca la stabilità del mondo finanziario.
Come si riflette questa condizione straordinaria e devastante sull’imprenditoria italiana?
Evito di allinearmi ai media e ai social, che in queste settimane hanno evidenziato (inevitabilmente, per diritto di cronaca o desiderio di espressione) la catastrofe economica e cerco di essere propositivo senza scadere nell’illusione utopica.
Metaforicamente, se quello che stiamo vivendo fosse paragonabile ad una tempesta in pieno oceano, quale sarebbe la prima cosa che il capitano dell’imbarcazione (imprenditore, governante, leader, capo famiglia, ecc.) dovrebbe fare?
Autovalutare la propria leadership, la forza del suo gruppo, la capacità organizzativa, insomma la “tenuta” della sua barca, sia a livello strutturale, operativo e ancor più emozionale.
A questo punto siamo autorizzati a concederci un flashback. Focalizziamoci sul mondo imprenditoriale.
Quando la nostra azienda (piccola o grande che sia) in tempi non sospetti è salpata dall’ultimo porto, in che condizioni era?
Proprio così, l’analisi non deve focalizzarsi nell’evidenziare le criticità espresse nel mezzo della tempesta perfetta, perché probabilmente molti dei problemi che stiamo riscontrando (sicuramente i più grossi) sono figli di lacune e limitazioni che ci accompagnano da tanto tempo.
Solo che, quando il mare è piatto o affrontiamo burrasche già vissute e conosciute, questi limiti non si esprimono nella loro massima intensità perché vengono assimilati come variabili costanti nell’operatività ordinaria. Vi chiedete di cosa sto parlando?
- Esposizioni bancarie eccessive
- Scarsa capacità di comunicazione interna ed esterna
- Mancanza di riconoscenza e condivisione con lo STAFF
- Scarsa visione proiezionale
- Conflitti tra soci
- Carenza di partnership
- Scarsa evoluzione tecnologica
- Limitazione nella reportistica
- Mancanza di targetizzazione commerciale
Si potrebbero scrivere svariate pagine per completare questo elenco. Ma adesso è tempo di concentrarsi sulle soluzioni.
Partiamo dall’inizio.
Come dovrebbe essere composta un’azienda (di qualsiasi dimensione o settore, non fa differenza)?
- Si deve basare su elementi solidi: Filosofia e Formazione
- Su tali fondamenta si devono ergere in modo equilibrato, almeno tre pilastri, Produzione, Finanza, Commerciale.
- E, lo stilizzato disegno ipotetico, si deve concludere con una copertura generata dalla Tutela (professionisti e strategie).
Ho sottolineato delle parole chiave nella descrizione perché sono quelle caratteristiche che, presenti in modo debole o incompleto, innescherebbero maggiori evidenze problematiche. Vi potrebbero essere ulteriori lacune, comunque importanti, ma più soggettive e settoriali.
Nelle fondamenta strutturali, molte aziende italiane faticano ad esprimente una reale filosofia su cui basare l’essenza aziendale. Mi spiego meglio attraverso un esempio, che potrà risultare un po’ esasperato, ma confido nella fantasia e sensibilità di chi legge.
Se chiedessimo ad un produttore di sistemi illuminotecnici di cosa si occupa la sua azienda, tenderebbe a risponderci, con “l’istinto del produttore” lampade, strip e pannelli led.
Se avesse invece maggiore orientamento commerciale, utilizzerebbe la risposta per esprimere l’essenza filosofica della sua azienda e quindi ci direbbe: permetto alle persone di illuminare il loro mondo. Esprimere la propria filosofia non vuol dire vivere di slogan, ma avere il coraggio di esprimere con le parole la reale essenza che compone l’intera azienda. Tale messaggio non serve solo per vendere di più ma permette ad ogni collaboratore, fornitore, partner (e ovviamente anche ai clienti) di condividere un’idea, un qualcosa a cui tendere tutti insieme.
Continuando nell’analisi strutturale, spesso sono presenti sbilanciamenti nella dimensione e importanza dei pilastri che poggiano sulla FILOSOFIA. Solitamente la PRODUZIONE è il più grande e completo rispetto a quello COMMERCIALE poco sviluppato e a quello della FINANZA (solitamente sottile perché gestito con informazioni o strutture in outsourcing, come commercialista, banche, ecc.).
Ma perché questo sbilanciamento?
Perché l’imprenditore italiano è ancora molto orientato all’ottimizzazione esasperata del prodotto piuttosto che concentrarsi sul potenziamento della capacità di vendita. Questa dicotomia provoca inevitabilmente un costante orientamento (scarsamente performante) verso la convinzione che un prodotto o servizio ben sviluppato sia sufficiente a mantenere quote di mercato.
Non è così.
Siamo ormai da quarant’anni nell’era POST-INDUSTRIALE e il mercato (B2C ed anche B2B) è orientato maggiormente allo stimolo del desiderio (in pieno stile) di economia relazionale e non più vincolato al soddisfacimento del bisogno (economia tradizionale).
Quindi pur mantenendo una produzione sempre evoluta, la stessa deve assoggettarsi all’esigenza del reparto marketing e commerciale generando un bilanciamento dimensionale tra questi due pilastri aziendali. Ovviamente anche la componente finanziaria dovrà essere tenuta in debito conto perché è l’equilibratore tra i due propulsori: PRODUTTIVO e COMMERCIALE.
Come se fosse una bici: produzione e commerciale sono pedali e la finanza il telaio.
Certo, ci sono anche i freni: il Risk Management, ma questa è una storia che racconterò più avanti.
Quindi, buone fondamenta, pilastri bilanciati e ben dimensionati per sorreggere il tetto che, come detto, è composto da quelle partnership professionali che garantiscono tutela e visione d’insieme (contrattualistica, consulenza strategica, assicurazioni, ecc..)
Così risulterebbe l’azienda ideale.
Se questo modello è validato, per completare la nostra AUTOVALUTAZIONE, seppur in modo generale, potrebbe essere un buon esercizio provare a sovrapporre la vostra struttura aziendale a quella ideale evidenziando così le eventuali differenze che potrebbero essere in alcuni ambiti il sovradimensionamento (punti di forza) e in altri il sottodimensionamento (carenze).
Adesso possiamo intuire cosa c’era di non performante prima di prendere il mare e che si è manifestato in modo così preoccupante durante la tempesta.
Ma non tutto è perduto, anzi!
La tempesta obbliga tutte le imprese ad una navigazione più accorta. C’è chi rallenta, chi si rifugia in un porto, chi va in rada. Ma in questo momento non è importante la velocità di percorrenza, piuttosto è fondamentale ottimizzare i processi, “rifare gli scafi”, acquisire nuove strumentazioni, imparare nuove rotte.
Essere pronti per quando tutto finirà e vi saranno nuovi mari da esplorare.
Quanto più siamo consapevoli, tanto più miglioreremo e saremo pronti al rimbalzo!
Questo è il momento di valutare di che pasta siamo fatti e, con onestà e trasparenza, inserire i correttivi e i potenziamenti necessari.
Senza frustrazioni o frenesie.
Con la forza di chi sa pensare e porre in atto le soluzione adeguate.
Stefano Pigolotti